Una battaglia dopo l’altra è il tipo di film che ti lascia spiazzato. Anderson torna e lo fa a modo suo: niente vie di mezzo, niente compromessi. Questo è un lavoro sporco, che scava nelle ceneri di rivoluzioni che non hanno portato a nulla. DiCaprio recita un uomo che ha smesso di credere ma non ha ancora smesso di cercare.
Il peso di un passato che non passa
Bob Ferguson è stato un rivoluzionario. Adesso vive in un monolocale dove la luce entra a fatica. Le pareti sono piene di foto che nessuno guarda più. Sua figlia è sparita, e questa è l’unica ragione per cui si alza ancora dal letto.
DiCaprio lo interpreta con una fisicità che fa male: cammina curvo, evita gli sguardi, parla piano. Niente fascino, niente carisma. Solo un uomo finito che cerca qualcosa da salvare. “Quando avevamo i fucili in mano sapevamo cosa fare. Adesso non capisco più nemmeno dove sono”, dice una sera a Perfidia mentre fuma fuori da un bar chiuso.
I personaggi: ritratti di una generazione sconfitta
Il mondo di Una battaglia dopo l’altra è popolato da gente che ha mollato in modi diversi.
Perfidia (Teyana Taylor) è la moglie di Bob, ma soprattutto è quella che non si è arresa. Stampa ancora volantini, organizza riunioni in cantine umide, scrive comunicati che leggeranno in quattro. Il colonnello Stephen Lokjo (Sean Penn) la tiene d’occhio, ma senza drammi: la sorveglianza è fredda, burocratica. Penn recita il potere come un contabile che chiude bilanci.
Sergio ha piantato tutto. Vive fuori città, coltiva l’orto, non vuole più parlare di politica. Quando Bob va a trovarlo gli dice: “Abbiamo perso, Bob. Non è colpa nostra, ma è andata così. Io adesso pianto pomodori”. È la resa più sincera del film.
Loredo ha trasformato il fallimento in soldi. Vende “memorie rivoluzionarie”: file digitali dove puoi rivivere una manifestazione del 1989, completa di adrenalina e illusione. Le rivoluzioni sono diventate prodotti da $9.99. Anderson riprende il suo negozio con luci al neon che si riflettono su schermi touch: tutto pulito, tutto vuoto.
Estetica della frammentazione
Anderson segue Bob come un’ombra. La camera gli sta addosso, respira con lui. Quando corre per le strade cercando sua figlia, l’immagine trema e perde messa a fuoco. Quando si ferma, anche la macchina da presa si blocca. Ci sono scene dove Bob resta seduto per minuti interi e Anderson non stacca mai.
I flashback arrivano senza logica: Bob giovane che urla a un microfono, mani che si stringono durante una carica, il viso di sua figlia che ride. Jonny Greenwood ci mette sopra una colonna sonora che passa da synth distorti ad archi nervosi. L’effetto è quello di una memoria che si rompe continuamente.
Le luci sono fredde: azzurri spenti, grigi, bianchi da ospedale. Anche le scene intime tra Bob e Perfidia sono girate così, senza nostalgia.
Politica senza manifesti
Una battaglia dopo l’altra non ti spiega mai di che rivoluzione si parla. Non c’è manifesto politico, non ci sono bandiere. Anderson guarda solo cosa resta dopo. Il potere lo vedi nei dettagli: checkpoint dove mostri i documenti, archivi digitali che sanno dove sei stato, uffici dove qualcuno compila moduli su di te.
Il colonnello Lokjo non ha bisogno di torturare. Controlla, aspetta, prende appunti. Il suo potere funziona come un algoritmo: invisibile, metodico, impossibile da fermare. C’è una scena dove guarda decine di monitor con telecamere di sorveglianza: non esprime nulla, scrive su un tablet.
La vera battaglia si combatte sulla memoria. Chi decide cosa ricordare decide tutto. Loredo l’ha capito e ci fa i soldi. Perfidia cerca di tenerla viva scrivendo testimonianze. Bob la subisce come un peso che lo schiaccia.
La figlia come simbolo incompiuto
Bob cerca sua figlia per tutto il film. Raccoglie indizi: qualcuno che l’ha vista su un autobus, un messaggio vecchio su un cellulare rotto, una foto sfocata da una telecamera. Ogni traccia porta a un vicolo cieco.
Anderson non regala nessuna risoluzione. Non c’è il momento in cui la trova, non c’è la musica che ti dice come sentirti. La figlia resta un buco nero al centro del film. È il futuro che non arriva, la promessa della rivoluzione che nessuno ha mantenuto.
In breve
Anderson gira un film difficile, che non cerca di piacerti.
DiCaprio recita un perdente vero, senza fascinazioni.
Il potere è burocrazia che funziona come un software.
La rivoluzione è diventata merce: ricordi in vendita.
La memoria è l’unico campo di battaglia che conta ancora.
FAQ
Qual è la trama di Una battaglia dopo l’altra?
Bob Ferguson è un ex rivoluzionario che cerca sua figlia scomparsa. Mentre la cerca deve fare i conti col passato politico e col sistema che lo tiene sotto controllo.
Chi ha diretto Una battaglia dopo l’altra?
Paul Thomas Anderson, lo stesso de Il petroliere e Licorice Pizza.
Che ruolo ha Leonardo DiCaprio?
Fa Bob Ferguson, il protagonista. Un ex attivista che ha perso tutto e non sa più chi è.
Perché il film tratta temi politici?
Perché parla di potere, di come la memoria diventa una merce e di cosa succede quando le rivoluzioni falliscono.
Conclusione
Questa recensione di Una battaglia dopo l’altra racconta un film che non cerca applausi. Anderson non vuole intrattenerti né consolarti. Ha girato un ritratto sulla sconfitta politica che guarda il fallimento senza pietà e senza nostalgia. DiCaprio accetta di essere brutto, vecchio, finito: probabilmente la sua scelta più coraggiosa come attore. Non è un film facile, ma è il tipo di film che ti rimane addosso come una domanda a cui non sai rispondere.