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Hamas respinge il disarmo: “Armi fino alla fine dell’occupazione”

Un alto esponente di Hamas ha escluso lunedì sera qualsiasi ipotesi di deposizione delle armi prima della fine dell’occupazione israeliana. La dichiarazione, raccolta dall’agenzia Reuters, è arrivata mentre a Sharm el-Sheikh proseguono i negoziati indiretti. Il movimento palestinese ribadisce: senza uno Stato palestinese indipendente, non si parla di disarmo.

La smilitarizzazione è diventata lo scoglio principale delle trattative. Israele la pretende. Anche il piano dell’ex presidente americano Donald Trump la mette al centro. Ma Hamas non ci sta. E la distanza tra le parti sembra allargarsi giorno dopo giorno.

A Sharm el-Sheikh negoziati a rilento

Nella località turistica egiziana, le delegazioni israeliana e palestinese non si vedono nemmeno. Egitto e Qatar fanno da tramite, provando ad avvicinare posizioni che sembrano inconciliabili. Cairo News riferisce di pressioni fortissime sui negoziatori per sbloccare almeno il nodo dello scambio di prigionieri.

Israele ha mandato una delegazione tecnica. Nessun ministro, nessun dirigente di primo piano. Molti ci hanno visto un approccio attendista, quasi a dire: “Vediamo se vale la pena proseguire”. Canale 13 è stato ancora più esplicito: senza progressi rapidi, le trattative rischiano di saltare definitivamente.

Tel Aviv si è presentata con una squadra di riserva. Segno che la fiducia, al momento, scarseggia.

Il piano Trump: 72 ore per cambiare tutto (ma i dettagli mancano)

L’ex presidente ha messo nero su bianco una proposta che dovrebbe risolvere tutto in tre giorni. I punti sono questi:

  • Israele dà l’ok e scatta il cessate il fuoco dopo 72 ore
  • Hamas libera immediatamente tutti gli ostaggi israeliani
  • Il movimento palestinese si smilitarizza del tutto
  • Le truppe israeliane lasciano Gaza (tempi e modi da definire)

È l’ultimo punto a creare i problemi più grossi. La CNN ha confermato che il piano non specifica quando e come avverrebbe il ritiro israeliano. Un’ambiguità che la parte palestinese non può accettare. Chi garantisce che il ritiro avvenga davvero?

Trump ha ripreso le vecchie richieste di Israele sulla sicurezza. Ma senza un calendario preciso per il ritiro, difficile che Hamas ci caschi.

La risposta palestinese: tecnici sì, ma Gaza decide Gaza

Hamas si è detto disponibile a consegnare tutti i prigionieri israeliani, vivi o morti. E non solo. Il movimento è pronto ad affidare l’amministrazione della Striscia a tecnici indipendenti, figure competenti e non politicizzate. Questi lavorerebbero sotto l’egida del consenso nazionale palestinese, con il sostegno dei paesi arabi e islamici.

Sembrerebbe un’apertura importante. Il problema è che Hamas pone una condizione ferrea: qualsiasi decisione sul futuro di Gaza va presa insieme a tutte le fazioni palestinesi. I diritti del popolo palestinese non si trattano a spezzoni. O ci si siede tutti allo stesso tavolo, o non se ne fa niente.

Cosa aspettarsi nei prossimi giorni

Le posizioni restano lontanissime. Il disarmo che Israele e Trump chiedono è un ostacolo che Hamas considera insormontabile. La mediazione egiziana e qatarina dovrà compiere un miracolo per trovare un terreno comune.

Israele ha una priorità assoluta: riportare a casa gli ostaggi. Hamas ha detto sì alla loro liberazione, ma pretende in cambio un ritiro vero delle truppe israeliane e il riconoscimento dei diritti palestinesi. Condizioni che Tel Aviv, adesso, non sembra pronta ad accettare.

I negoziati di Sharm el-Sheikh diranno se c’è ancora spazio per evitare l’ennesima rottura. Oppure se siamo destinati a un nuovo stallo che prolungherebbe soltanto le sofferenze di civili e prigionieri da entrambe le parti.

About Bourbiza Mohamed

Bourbiza Mohamed è un giornalista freelance e scrittore. Laureato in Scienze Politiche a Baghdad, si occupa di politica e attualità internazionale, con oltre 28 anni di esperienza. Parallelamente porta avanti progetti musicali country e blues come fondatore di BM Country Music.

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