Nel 2008 sono stato in visita a mia famiglia a Dallas.
Una sera ero con mio fratello più grande e mi ha chiesto se fosse possibile dare un passaggio a un suo vicino di casa, un anziano italiano, che doveva andare al consolato italiano per rinnovare il passaporto.
In pratica, eravamo fuori Dallas di circa 280 chilometri, in direzione del consolato.
Siamo partiti, e io stavo parlando con il signor Marco in italiano, ma lui ogni tanto mi rispondeva “yeah, sì”.
Dopo qualche chilometro mi sono fermato in un’area di servizio che conosco bene, perché fanno un buon caffè italiano.
Siamo entrati nel bar e ho chiesto un espresso italiano.
La barista messicana ormai mi conosceva — mi vede spesso quando vengo con mio fratello — e mi sono sorpreso quando il signor Marco ha ordinato un caffè americano.
Poi ho parlato con la barista in italiano, perché a lei piace imparare la lingua, ma il signor Marco restava zitto e ogni tanto sorrideva.
A un certo punto la barista messicana gli ha chiesto:
«Ma anche tu parli italiano?»
Io ho risposto subito:
«Certo, è italiano!»
Ma lui ha detto di no: che è nato lì, nel 1952, ed è andato in Italia solo due volte, in vacanza, e a casa parlano sempre in americano.
Ho pagato il caffè e siamo ripartiti verso il consolato italiano a Dallas.
Ho chiesto al signor Marco:
«Come mai hai ancora la cittadinanza italiana?»
Mi ha risposto che tempo fa l’hanno contattato dal consolato e gli hanno proposto di rinnovare il passaporto, secondo lui per motivi di voto alle elezioni politiche in Italia.
E allora mi sono fatto una domanda, dentro di me:
come mai un italiano che non sa parlare italiano, che vive e lavora all’estero da una vita, e non ha mai pagato tasse o contributi allo Stato italiano, decide con il suo voto chi governa l’Italia?
E gli stranieri che vivono e lavorano in Italia da anni non hanno diritto di votare per chi fa la politica italiana?
Cosa cambia per il signor Marco se in Italia vince la destra o la sinistra?
